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Eccomi di nuovo a condividere con i miei lettori un pensiero banale. Ma tant’è, se questo è il livello della “cultura” odierna, allora consentitemi di essere banale nel non essere d’accordo…
Canale 5 sta pubblicizzando a martello il prossimo inizio dell’ennesima edizione del Grande Fratello. Mentre scorrono le immagini della “casa” in allestimento, la voce fuori campo ricorda che il Grande Fratello è nato nel 1999, e l’Italia è stata tra i primi Paesi in cui è arrivato.
Un primato, non c’è che dire. Del quale, evidentemente, dobbiamo andare fieri.
Poco importa se siamo stati tra gli ultimi a introdurre l’obbligo delle cinture di sicurezza in auto, la patente a punti, la carta di identità elettronica (ma perché, esiste?). E poco importa se non abbiamo ancora mai “importato” – sono solo esempi, è chiaro – la valutazione permanente degli insegnanti, lo psicologo scolastico, un sistema universitario collegato al mondo del lavoro, gli incentivi per i giovani che mettono su casa, un sistema di welfare per la famiglia. E tante altre «cose che funzionano» nel resto del mondo, ma che evidentemente a noi non interessano, perché rischieremmo di risollevare cultura, economia e quindi benessere in senso lato, conseguenza che forse chi è ai “piani alti” cerca accuratamente di evitare.
L’importante è che abbiamo portato in Italia il Grande Fratello. E che continuiamo a guardarlo, sempre più convinti che la società sia riassunta in quella casa e in chi ci vive.
E se fosse veramente così?

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