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Media Valle, non dirò la località. Scuola primaria, non dirò quale. Classe quinta. Bambino con DSA serio, certificato, scuola e insegnanti più che informate. Lo scorso dicembre, insieme al padre, sono andato anche io a parlare con le maestre: abbiamo letto insieme la diagnosi, ci siamo confrontati sulle difficoltà del bambino, ho suggerito le strategie didattiche più opportune per aiutarlo, ho spiegato in lungo e in largo come predisporre le verifiche per lui, quali strumenti compensativi siano più adeguati, su quali elementi sia corretto basare la valutazione. Come sempre, si sono sprecati i «Sì, va bene, abbiamo capito, grazie, faremo così».
Poi però una maestra (non dirò quale, anche se vorrei tanto, davvero tanto!) ha continuato a fare come ha sempre fatto, a lavorare con questo bambino come ha sempre lavorato, ad assegnargli per casa enormi moli di compiti, a dargli le verifiche come gliele ha sempre date – uguali al resto della classe, chiedendogli nozioni a memoria, per di più senza lasciargli alcuno strumento compensativo –; e, quel che è peggio, a propinargli i voti che gli ha sempre propinato, per lo più insufficienti. A nulla sono valse le ripetute obiezioni dei genitori, sempre presenti ai colloqui con gli insegnanti: «La colpa è vostra, gli trasmettete negatività, lui non ha alcun problema», è stata anche capace di dire loro. Inammissibile!
A lei era rivolta la lettera – non vera ma verosimile – che ho scritto io in questo post. A lei, oggi, lancio un invito non verosimile ma vero: vattene a casa!
Già, perché, come ciliegina sulla torta di un anno scolastico (di tanti anni scolastici…) fatto di umiliazioni, rimproveri, brutti voti, indicibile ottusità, questa maestra – e già chiamarla così fa rabbrividire – ha avuto il coraggio (vorrei dire l’indecenza, l’ignoranza, la stupidità più becera) di far scrivere ai suoi alunni, una mattina, sul diario, la frase che leggete nella foto sopra. A tutti, compreso il bambino con DSA serio la cui madre, costernata, mi ha mandato la foto autorizzandomi a pubblicarla, ovviamente mantenendo l’anonimato.
«Sono un somaro».
No, accidenti, ho un DSA! Non faccio le cose a caso, semplicemente faccio fatica a capirle, a memorizzare le regole, ad applicarle. E tu, maestra, non mi aiuti, non mi sostieni, non mi incoraggi. Anzi, mi dai del somaro, mi umili, mi uccidi dentro.
Tu, maestra, sei la somara. Una enorme somara. Una completa incompetente, presuntuosa, saccente, ottusa. Incapace di insegnare, di educare. Incapace di esprimere umanità, anche davanti a un bambino con grandi difficoltà.
E a nulla vale che poi, alle rimostranze dei genitori, questa maestra si sia giustificata dicendo che al bambino in questione aveva detto di cancellare la frase scritta sul diario, ma lui se n’è dimenticato. Triste rumore di unghie sui vetri. Pietosa giustificazione di chi non è neppure capace di assumersi le proprie responsabilità e chiedere scusa. Quella frase non avrebbe mai dovuto essere fatta scrivere, mai, a nessuno dei bambini, non solo al nostro protagonista. E, comunque, men che meno a lui.
Vergognati!!
I genitori stanno prendendo seri provvedimenti, anche perché due giorni dopo questo fatto è arrivato un altro quattro in geografia per una verifica a suo dire svolta male. Già, perché di nuovo il nostro bambino avrebbe dovuto sapere a memoria elenchi di nomi, senza poter usare alcuno schema o altro strumento compensativo.
Vergognati!!
Non ho che una speranza: che questa insegnante venga mandata a casa, che smetta per sempre di fare del male a bambini che non hanno colpe né modo di combattere ad armi pari contro cotanta ignoranza. È ora che anche da noi si usi il pugno duro con chi non sa fare il proprio lavoro, anziché tacere, anziché giustificare sempre tutto, anziché passare il messaggio che un insegnante è inamovibile dalla cattedra che occupa. Sapendo, per di più, quanti giovani insegnanti davvero bravi, competenti ed entusiasti sono costretti a stare a casa o ad accontentarsi di precarie supplenze, perché i posti sono occupati da gente come questa maestra qui, che non merita assolutamente di occupare il suo.

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