Condividi:          Diario di un’escursione in solitaria   La “casa delle vacanze” a Vinadio la mia famiglia ce l’ha dal 1979. Per tantissimi anni io e mia sorella bambini vi abbiamo trascorso insieme ai nostri genitori praticamente tutti i tre mesi di vacanze estive, quelle invernali e quasi tutti i week-end dell’anno; poi i soggiorni si sono […]
Categorie:

Diario di un’escursione in solitaria

 
Partenza per l'escursioneLa “casa delle vacanze” a Vinadio la mia famiglia ce l’ha dal 1979. Per tantissimi anni io e mia sorella bambini vi abbiamo trascorso insieme ai nostri genitori praticamente tutti i tre mesi di vacanze estive, quelle invernali e quasi tutti i week-end dell’anno; poi i soggiorni si sono di molto diradati, tanto che negli ultimi anni ci torno solo occasionalmente. Nonostante tutti questi anni, ci sono posti di Vinadio che proprio non conosco, escursioni che non ho mai fatto (ancorché io ami camminare in montagna), sentieri che non ho mai calpestato.
Ieri ho deciso che questa mattina sarei andato a Neraissa. E questa mattina ci sono andato.

Il Vallone di Neraissa è una gola a ovest di Vinadio percorsa da una strada asfaltata che si inerpica per 4-5 chilometri, affrontando un dislivello di poco più di 700 metri (dai 910 del capoluogo ai 1614 del Rifugio Nebius, dove la strada termina). Vi si incontrano alcune piccole borgate, un tempo veri e propri paesi, frazioni di Vinadio, e ora poco più che agglomerati di case, abbandonati come è ormai realtà per questi luoghi di montagna, e meta ormai soltanto più di villeggianti perlopiù francesi, che vi trascorrono l’estate.
Esco di casa alle 9 in punto; sopra di me un cielo tutt’altro che promettente, ma mi fido del bollettino meteo favorevole e comunque nello zainetto ho il k-way, non si sa mai… Mi fermo in negozio per acquistare un panino, poi mi incammino, imboccando la piccola arteria comunale alle 9.20; sulle spalle il minimo indispensabile per un’escursione del tutto tranquilla, al collo la mia inseparabile Nikon.

Giochi di luci e ombre in montagnaLa strada sale ripida per un primo tratto, dal suo inizio (adiacente il parco di Vinadio) fino alla località Podio, superando la radura dove sorge la piccola chiesa dedicata al Nome di Maria con accanto il monumento agli Alpini caduti. Al Podio faccio la prima breve sosta (ci sono arrivato in poco più di mezz’ora), in compagnia di un cane che mi guarda tranquillo senza cambiare la sua posizione sdraiato sulla strada. Poi il cammino si fa meno impegnativo e il restante dislivello si supera su un percorso più lungo e per questo meno ripido. Poco dopo, la strada si biforca: a sinistra un cartello indica Forno-Podio Superiore, a destra Neraissa. Ovviamente, svolto a destra.
Ben presto il rumore di fondo che caratterizza il percorso fino a qui, quello cioè del torrente che costeggia la strada a destra, si spegne per lasciare il posto allo sfarfallio delle foglie nella brezza montana e al frinire delle cicale. Sono completamente solo: poche le auto che occasionalmente salgono o scendono, quasi tutte con targa francese; ancor meno i viandanti. Ne incrocio solo uno, anziano, che mi chiede se sono del posto, augurandomi poi una buona camminata. Avevo ipotizzato una seconda sosta dopo un’altra mezz’ora di cammino, possibilmente nel successivo paese; ma mi fermo dopo quaranta minuti lungo la via: ho bisogno di bere e, come da bollettino meteo, è uscito un caldo sole, per cui è il caso di indossare gli occhiali scuri e il berretto, oltre che di stendere un po’ al sole la maglietta ormai madida di sudore.
Riparto un po’ sorpreso, perché mi aspettavo di incontrare gli altri paesi indicati dal cartello indicatore all’inizio della strada: Scaglia, Lentre, Castellar; penso allora di doverli ancora raggiungere (non ricordo le altitudini riportate sul cartello) e realizzo che il cammino è ancora lungo. Nel frattempo la vegetazione cambia e le montagne intorno a me sono più spoglie: le conifere lasciano spazio a un verde più basso e a rocce più evidenti, contornate da nuvole che sembrano barbe delle cime che si stagliano in un cielo ormai blu profondo.

Neraissa. Paese di altri tempi

La mia supposizione sul cammino si rivela errata: dopo appena mezz’ora dall’ultima sosta (dunque dopo un’ora e cinquanta minuti di cammino complessivo, escluse le soste) mi si presenta, dopo una curva, un agglomerato di case; quando lo raggiungo, un’insolita insegna mi dice che sono a Neraissa. Probabilmente, mi dico, i paesi non incontrati si trovano lungo l’altra strada, quella che sale al Podio Superiore: se avrò tempo, lo verificherò al ritorno. Neraissa Inferiore conta una dozzina di costruzioni, abitate perlopiù da francesi (lo dicono le targhe delle poche auto parcheggiate, e lo dicono le frasi che sento pronunciare qua e là); su una piazzetta al cui centro si trova una fontana, si affaccia una chiesetta. Qui mi fermo, e un uomo cortese che sta lavando nella fontana i tappetini della sua auto mi suggerisce in un italiano stentato che la chiesa è aperta e posso entrare; nella toppa, un grosso mazzo di chiavi, che tento inutilmente di far girare; al terzo tentativo il portone di legno si apre, rivelandomi l’interno vuoto della chiesetta, ristrutturata recentemente e ben tenuta. Proprio in agosto, ogni anno si svolge, durante la festa patronale di Vinadio, una processione fino a qui, alla quale partecipa sempre molta gente. Una preghiera, uno scatto, poi richiudo. È ancora molto presto, non sono neppure le undici: ho il tempo per proseguire il cammino fino a Neraissa Superiore, che è la meta che mi ero prefissato.
La strada prosegue ancora asfaltata, ma un cartello ormai arrugginito impone un improbabile divieto di accesso causa frana, in virtù di un’ordinanza sindacale del 1979 (sic!); alla mia sinistra, un contadino con il rastrello sulle spalle si accinge a raccogliere il fieno che – presumo dalle taniche di latte che vedo nel bagagliaio del suo fuoristrada – porterà alle sue vacche; poco oltre, a metà montagna, prima il suono dei campanacci e poi le macchie bianche nel verde del prato attirano la mia attenzione e l’obiettivo della Nikon sulle mucche al pascolo. Il percorso è breve: in meno di mezz’ora raggiungo Neraissa Superiore, poche case delle quali almeno tre diroccate, una sola visibilmente ristrutturata e abitata, ma chissà per quanti mesi all’anno.
Rifugio Nebius: fine della stradaSalgo ancora. Alla mia sinistra si apre un sentiero segnato che conduce a Sambuco, percorribile in MTB (ieri sera, nel cercare su Internet informazioni rispetto alla mia escursione, ho letto questa indicazione); due auto parcheggiate mi dicono che qualcuno vi si è inoltrato; subito penso che in una prossima occasione lo farò anch’io… La strada torna a salire impervia, fino a che l’asfalto termina e diventa una sterrata. Ancora per poco. A destra, due case (le ultime due del Vallone): a una lavora un giovane uomo, sta sistemando un portico o altro – chi può dirlo; fuori dall’altra, gioca una bambina e la madre la guarda seduta sulla soglia; ultime presenze umane. Cammino ancora, supero un piccolo rivo d’acqua, ed ecco di fronte a me il termine della strada e della mia salita: bianco sul cielo azzurro, si erge il Rifugio Nebius, ora chiuso; sono a 1614 metri, non mi sento affatto stanco e sono anzi contento di essere arrivato fino a qui!
È mezzogiorno. Inverto la marcia e scendo, con l’idea di consumare il mio pranzo a Neraissa; prima mi fermo a Neraissa Superiore, dove scatto alcune foto; quindi raggiungo Neraissa Inferiore, alle 12.20. Qui mi sistemo su un rialzo in cemento accanto alla chiesa, di fronte a me la fontana. Mentre addento la mia focaccina farcita di prosciutto, mi tengono compagnia due cani pacifici, uno dei quali palesemente interessato più al cibo che a me… Il sole è caldo, l’acqua della fontana fresca e buona.
Il forno, in località Podio SuperioreIntorno alle 13 riparto, la brezza invita a camminare senza fatica. Al bivio del Podio Superiore, questa volta giro a destra e salgo; anche questo non è più che un sobborgo; unici segnali di presenza umana, un’auto con targa francese e suoni di televisione da una finestra aperta. Caratteristica di questa località è un vecchio forno con attigua una fontana del 1878, data indicata da una targa in marmo per la verità non curata come potrebbe essere. Il cammino prosegue verso l’alto su sentiero sterrato: forse – anche se non vi sono indicazioni a riguardo – per questa via si trovano i tre paesi che non ho trovato finora; ma desisto, ho in mente di scendere ancora e fermarmi a riposare nel parco della chiesetta.
Ci arrivo infatti alle 14.15 e mi concedo un’oretta di sosta, sdraiato su una panchina a osservare il cielo azzurro e le foglie sopra di me, e a lasciar scorrere i pensieri che vagano tranquilli nella mente sgombra da ogni peso. Poi l’ultimo tratto di discesa, ed eccomi nuovamente a Vinadio, dove un ottimo gelato conclude degnamente un’escursione che avevo rimandato da troppo tempo.

Le foto più belle dell’escursione sono nel mio Album, nella sezione Vacanze. Le puoi raggiungere direttamente cliccando qui.

Un commento

  1. tu pensa……in quegli anni io con la famiglia eravamo al campeggio di vinadio tutte le estati…..solo per una settimana, e poi gite e visite a tutti i fortini militari della zona,sempre dopo aver comprato la focaccia al negozio del paese……che buonaaaaaaaaaaaaa

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.