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Ieri mattina sono stato a colloquio con un dirigente scolastico per un ragazzino DSA che seguo in studio. Dopo aver affrontato la situazione gli ho spiegato che fin dallo scorso anno avrei voluto parlare con gli insegnanti, ma non mi è mai stato dato un appuntamento. Il dirigente mi ha guardato quasi con tenerezza e ha pronunciato le testuali parole: «Vede, dottor Mangone, lei in Valle si è fatto la nomea di un professionista che va molto contro gli insegnanti, che accompagna i genitori a fare i ricorsi contro gli insegnanti… Ogni volta che sentono il suo nome, ai docenti della mia scuola si rizzano i capelli… Sa, forse dovrebbe incontrare gli insegnanti fuori dalle scuole, in maniera morbida, così che capiscano che il dottor Mangone non è il lupo cattivo di cui avere paura!»
Ah.
Questa ancora non l’avevo sentita, sul mio conto.
Il primo pensiero è stato: cavoli, questo non mi piace, non è la verità, io con gli insegnanti ho sempre cercato la collaborazione, mai lo scontro! Macché lupo cattivo, se a volte sono rigido è perché vedo che taluni docenti non si attengono al PDP oppure non seguono le indicazioni degli operatori sanitari che hanno in carico il ragazzo di turno. Peccato, questa “nomea” non mi piace e non mi si addice!
Il secondo pensiero è stato: bè, però, mica male! Se questa è l’idea che circola sul mio conto, significa che sto riuscendo a muovere qualcosa, a stuzzicare qualche coscienza. Perché chi si lamenta, chi ha paura, sa di essere dalla parte del torto. Chi non lo è, apprezza il mio lavoro e ricerca il confronto. Come una referente DSA che martedì, alla prima serata del mio corso su computer e software compensativi, mi ha stimolato: «Continui così, certe cose vanno dette e fatte conoscere!»; e poi, ai genitori presenti: «Se gli insegnanti non seguono il PDP, insistete, fatevi sentire!»
 
Si impone però, a questo punto, una seppur breve spiegazione circa quello che faccio davvero nelle scuole; o, meglio, quello che riesco a fare quando le scuole mi permettono di entrarci.
Ci sono fondamentalmente due situazioni nelle quali credo opportuno, e quindi cerco di ottenere, un incontro con gli insegnanti: quando un mio cliente ha appena ricevuto una diagnosi oppure, pur avendola già, ha appena cambiato ciclo scolastico; e quando ci sono dei problemi.
In verità, quando dico incontro «con gli insegnanti» lo dico in senso lato: in alcune scuole il dirigente mi fa parlare con l’intero consiglio di classe (tipicamente nelle scuole superiori di primo e di secondo grado), in altre incontro il coordinatore di classe e/o uno o più insegnanti prevalenti, in altre ancora mi rapporto con il dirigente o il referente BES/DSA, alle primarie solitamente parlo con tutte le maestre. Non importa: per me l’obiettivo è avere nella scuola del ragazzino di turno uno o più docenti che siano per me un punto di riferimento per parlare di lui, delle sue difficoltà.
È per me importante incontrare gli insegnanti quando il ragazzo che seguo ha appena ottenuto una diagnosi per condividere le reciproche osservazioni, le informazioni che ho ricevuto dal neuropsichiatra infantile – visto che ormai, a causa dei continui “tagli” alle ore di questi medici, è quasi impossibile per loro partecipare agli incontri nelle scuole –, il tutto nell’ottica di collaborare alla stesura del piano didattico personalizzato e di “fare rete” fin da subito, dal momento che sarò poi io a seguire il ragazzo in studio. Lo stesso accade al passaggio di ciclo scolastico, specie nel caso in cui io segua il cliente già da tempo e possa quindi rappresentare per gli insegnanti una valida fonte di informazioni e osservazioni.
Ancor più importante se in corso d’anno ci sono problemi, che possono essere i più diversi: da difficoltà incontrate in una o più materie che richiedono strategie didattiche nuove, a verifiche o valutazioni non adeguate, fino ad arrivare a parziale o completa non applicazione del PDP da parte di uno o più insegnanti. Incontrare i docenti, farmi “mediatore” tra la scuola e i genitori (i quali molto spesso sono arrabbiati o ansiosi e comunque non abbastanza sereni da affrontare con diplomazia un colloquio chiarificatore) diventa allora fondamentale per fare il punto della situazione, per calibrare il tiro, per capire che cosa non funziona e come farlo funzionare.
Sempre e comunque quello che io cerco è la collaborazione. Mai lo scontro. Sarebbe controproducente. L’obiettivo è la serenità del ragazzo, e solo collaborando si può conseguire questo obiettivo.
Con alcuni insegnanti è più difficile, e spesso l’ho raccontato in questo blog. Ci sono quelli presuntuosi, che pretendono di sapere tutto, anche più del neuropsichiatra e del logopedista. Ci sono quelli superficiali, quelli che «ma sì, tanto va bene». Ci sono quelli che umiliano i ragazzi. Ci sono quelli che fanno come se nulla fosse, come se una diagnosi non esistesse neppure. Con tutti questi, talvolta lo scontro è inevitabile. E io sono disposto a non evitarlo, perché io sto dalla parte dei ragazzi, sempre, quando si tratta di far rispettare i loro diritti e di far accettare la loro diagnosi e le loro difficoltà.
Non ho mai accompagnato alcun genitore a fare ricorso contro un docente; se però un genitore mi chiede – a ragione – una consulenza per scrivere una lettera o un reclamo, ovviamente io lo faccio. Perché è il mio lavoro e perché, se questa lettera o questo reclamo sono giusti e possono servire a cambiare una situazione che con il dialogo e la diplomazia non è mai cambiata, credo importante farlo.
Tutto qui.
Chi mi considera un lupo cattivo non ha che da incontrarmi, parlarmi: con il dialogo si può costruire, sempre. Chi ha la coda di paglia, continui pure a considerarmi un lupo cattivo: se serve, non mi esimerò dal mordere!

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